bambinofelice
|
La storia di Natasha, madre surrogata «Questi figli non hanno niente di me» «Mi chiamo Natasha, ho ventinove anni, sono sposata da undici e sono mamma di un bambino di nove (…). Sono una macchina perfetta per procreare. Non lo dico io. Me lo ripetono i medici della clinica Biotexcom di Kiev, una delle più famose strutture in cui è possibile praticare la maternità surrogata (…). Io ho un solo figlio, la più grande gioia della mia vita. Gli altri che ho messo al mondo sono i figli di qualcun altro. Non mi ricordo né il giorno in cui sono nati né se erano maschi o femmine, nemmeno quanto pesavano. Non mi interessava e non mi interessa. Questri bambini non hanno niente di me, non hanno il mio Dna, non verranno educati da me. Io li ho solo partoriti, ho aiutato chi naturalmente non lo poteva fare». La storia di Natasha, raccontata da Serena Marchi nel suo libro Madri, comunque (Fandango, 190 pp, 15 euro), potrebbe essere una (soltanto una, tra tante) risposta ad Aldo Busi, che qualche giorno fa scriveva delle madri surrogate come di «donne degradate a bestie produttrici di placenta», o a Susanna Tamaro, per la quale «lo sfruttamento del corpo di un altro essere umano per i propri fini rientra nella categoria dello schiavismo». Commenti duri, all’indomani del caos procurato dalle dichiarazioni di Domenico Gabbana sui «figli sintetici» e dal boicottaggio dei loro abiti annunciato da Elton John sui social network, e dell’esclusione dei single dalla possibilità di adottare un bambino. Nel momento in cui è stata intervistata, Natasha era alla quarta gravidanza, stava aspettando i gemelli di una coppia tedesca. Racconta a Serena Marchi: «Durante le gravidanze che faccio per altri genitori non penso mai: “Questo figlio è mio, me lo tengo”, perché so dal primo momento che non lo crescerò, che lo partorirò e poi lo darò ai suoi genitori… Anche adesso, quando sento i gemelli muoversi, quando ho le nausee e mi duole la schiena, non si crea quel legame materno che ho avuto fin da subito con mio figlio». Natasha non si sottrae alle considerazioni di tipo economico. «Lo sapete tutti che vengo pagata, per affittare il mio utero. Diecimila euro a parto, quindici se sono gemelli (lo stipendio medio mensile in Ucraina è 150 euro). Non c’è niente di male nel farlo. Questi soldi servono per comprare una casa più grande in cui possa andare con la mia famiglia, con mio marito e mio figlio, gli unici amori della mia vita. Il mio corpo è fatto per procreare, perché non usarlo per aiutare la mia famiglia a vivere in condizioni migliori e al contempo rendere felice una coppia di genitori?». In Madri, comunque, non c’è solo Natasha. Ci sono Giovanna, mamma in affido; Simonetta, mamma lesbica; Elena, mamma per pochi secondi dei figli degli altri (è ostetrica); Teresa, mamma di un figlio omosessuale. Trenta storie con altrettante declinazioni della maternità (e della non maternità), asciutte, raccontate senza giudizio con piglio da cronista. Perché oggi, nel 2015, di mamma non ce n’è una sola. E bisogna cominciare a scoprire tutti i suoi nuovi volti. fonte: http://27esimaora.corriere.it/articolo/la-storia-di-natasha-madre-surrogataquesti-figli-non-hanno-niente-di-me/
< Il messaggio è stato modificato da bambinofelice -- 2.4.2015 16:45:21 >
|